Il giorno della memoria. La Shoah esiste ancora oggi?

GRAN CONSIGLIO DEL FASCISMO

“dichiarazione sui problemi razziali”

26 ottobre 1938 Il Gran Consiglio del Fascismo, in seguito alla conquista dell’Impero, dichiara l’attualità urgente dei problemi razziali e la necessità di una coscienza razziale. Ricorda che il Fascismo ha svolto da sedici anni e svolge un’attività positiva, diretta al miglioramento quantitativo e qualitativo della razza italiana, miglioramento che potrebbe essere gravemente compromesso, con conseguenze politiche incalcolabili, da incroci e imbastardimenti. Il problema ebraico non è che l’aspetto metropolitano di un problema di carattere generale.

Il Gran Consiglio del Fascismo stabiliva, tra l’altro, il divieto di matrimoni di italiani e italiane con elementi appartenenti alle razze camita, semlta e altre razze non ariane e che il matrimonio di italiani e italiane con stranieri anche di razze ariane doveva avere il preventivo consenso del Ministero dell’Interno.

Il Gran Consiglio del Fascismo riteneva che la legge non poteva più oltre ritardare l’espulsione degli indesiderabili ritenuta invece indispensabile. Il Gran Consiglio del Fascismo stabiliva anche chi appartenesse alla razza ebraica: colui che nasce da genitori entrambi ebrei; da padre ebreo e da madre straniera; chi, pur essendo nato da un matrimonio misto, professa la religione ebraica.

Deportazione razziale in Italia

A partire da questa data, 26 Ottobre 1938, iniziò a regnare l’insicurezza e l’inquietudine: i bambini e gli adolescenti non avevano la possibilità di frequentare la scuola pubblica, i capofamiglia di prestare la loro opera negli uffici pubblici, tutti erano impediti nelle loro attività, che fossero imprenditori o venditori ambulanti. Per non parlare della miriade di piccole ordinanze e circolari amministrative che rese difficile e anche umiliante la vita quotidiana, come quella che proibiva di pubblicare gli annunci funebri sui giornali, conservare il proprio nome nell’elenco telefonico, frequentare luoghi di villeggiatura, lavorare nel mondo dello spettacolo, operare in qualità di ostetrica o infermiera.

I cittadini ebrei vennero anche accuratamente schedati, registrati, contati, da prefetture, questure, amministrazioni comunali, uffici locali del fascio.

Con Mussolina e fino al 25 luglio 1943 il quadro era di una pesante persecuzione amministrativa, politica e civile dello stato.

Dall’8 settembre del 1943 con l’occupazione tedesca e la creazione della Repubblica Sociale Italiana (RSI), la persecuzione antiebraica subì una decisa svolta verso l’assassinio, inizia la SHOAH.

30 gennaio 1944 dal binario 21 della Stazione Centrale di Milano una umanità dolente, composta di cittadini italiani di religione ebraica di ogni età e condizione sociale, veniva caricata tra urla, percosse e latrati di cani su vagoni bestiame.

All’alba di una domenica invernale più di 600 persone avevano attraversato la città partendo dal carcere di San Vittore su camion telati e avevano raggiunto i sottèrranei della Stazione Centrale.

Tutti loro, braccati, incarcerati, detenuti per la sola colpa di esser nati ebrei partivano per ignota destinazione. 40 di loro erano bambini da 1 a 14 anni, la signora Dina, di 88 anni, era la più anziana.

Ad Auschwitz il 6 febbraio, dopo 7 giorni di viaggio passati tra sofferenza, ansia e panico e dopo poche ore dal loro arrivo, circa 500 fra loro vennero selezionati per la morte e furono gasati e bruciati.

24 ottobre 1944 Da Bolzano partì l’ultimo convoglio arrivato ad Auschwitz. Con esso si chiude la storia della deportazione degli ebrei dall’Italia verso lo sterminio, ma non si conclude la triste storia delle deportazioni poiché altre ve ne furono e fino al tardo febbraio del 1945, dirette verso il campo di concentramento di Ravensbrueck e Flossenburg geograficamente poste più lontano dalle linee di avanzata sovietica, rispetto ad Auschwitz.

Alla fine della Shoah Italiana il bilancio della politica antiebraica messa in atto in Italia e’ di 6.806 persone arrestate e deportate (di cui 5.969 deceduti) e di 322 morti in patria per eccidi, maltrattamenti o suicidi.

Il binario 21 esiste ancora ed è lì. Oggi in disuso e forse, chissà, destinato ad essere soppiantato da un centro commerciale o da una discoteca.

27 gennaio 1945 I soldati dell’Armata Rossa abbattevano i cancelli di Auschwitz e liberavano i prigionieri sopravvissuti allo sterminio del campo nazista.

Le truppe liberatrici, entrando nel campo di Auschwitz-Birkenau, scoprirono e svelarono al mondo intero il più atroce orrore della storia dell’umanità: la Shoah. Fecero vedere le condizioni in cui si viveva nel campo, fecero vedere i molti testimoni della tragedia, ma soprattutto mostrarono al mondo gli strumenti di tortura e di annientamento del lager.

Il termine Shoah significa “catastrofe” ed è voluto dagli ebrei al posto del termine più usato “Olocausto” che significa “sacrificio propiziatorio” e venne usato per la prima volta nel 1938 riferendosi al pogrom della cosiddetta “Notte dei cristalli”

Si indica come un genocidio, una azione criminale che, attraverso un complesso e preordinato insieme di azioni è finalizzata alla distruzione di un gruppo etnico, nazionale, razziale o religioso.

20 luglio 2000 La Repubblica italiana come prima citato ha promulgato la legge 211 istitutiva del Giorno della Memoria.

Quest’anno se ne celebra l’ottavo appuntamento, a sessantatre anni dalla liberazione del campo di sterminio di Auschwitz e dalla fine della Shoah.

Con questa legge si è voluto istituire il 27 gennaio come data simbolica per “ricordare la Shoah, le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati”.

Uno su tutti, Giorgio Perlasca, assurto alle cronache per gli speciali televisivi, fu uno straòrdinario uomo che, pressoché da solo, nell’inverno del 1944 a Budapest riuscì a salvare dallo sterminio nazista più di 5000 ebrei, spacciandosi per console spagnolo.

II suo nome oggi si trova messo in rilievo, nel Museo dell’Olocausto di Gerusalemme, tra i “Giusti delle Nazioni” insieme ad altre 24 persone, tra uomini e donne, di cui 11 sono italiani.

Uomini e donne che hanno saputo individuare il male ed hanno rischiato la loro vita per salvare delle altre vite minacciate da un progetto totalizzante di tipo politico, sociale o religioso.

Tra i deportati che hanno sofferto, patito ma sono stati fortunati perchè sono ritornati voglio citare due nomi.

Due nomi che fanno capire, se ce ne fosse bisogno, che il miglioramento dei popoli, delle culture, delle coscienze non alberga in “una razza superiore” non ha bisogno di essere tedesco, americano, inglese o russo ma può essere più semplicemente e solamente figlio del mondo.

1) Primo Levi

grande scrittore italiano deportato e sopravvissuto al lager di Auschwitz con altri 650 ebrei italiani, il 22 febbraio 1944. Vi rimase per undici mesi fino alla liberazione da parte dei russi.

Della sua esperienza ha scritto: “ogni qualvolta si pensa che uno straniero, o un diverso da noi è un Nemico, si pongono le premesse di una catena al cui termine c’è il Lager, il campo di sterminio”

E a proposito del genocidio del popolo ebraico, ne “I sommersi e i salvati” aggiunge: “E’ avvenuto, quindi può accadere di nuovo: questo è il nocciolo di quanto abbiamo da dire”.

2) Elie Wiesel

Scrittore rumeno nato nel 1928 e rinchiuso, ragazzino, nel lager di Auschwitz dal 1940 al 44 e poi trasferito a Buckenwald dal quale sopravvisse.

Ha scritto diversi libri riportando le sue memorie ed esperienze.

E’ ancora in vita e attualmente è docente alla Boston University oltrechè Presidente della commissione presidenziale americana sull’Olocausto.

Nel 1986 ha vinto il Premio Nobel per la pace

Mai potrei dimenticare quel silenzio notturno che mi privò, per tutta l’eternità, del desiderio di vivere. Mai dimenticherò quei momenti che uccisero il mio Dio e la mia anima, e ridussero i miei sogni in polvere.

Le tre vittime montarono insieme sugli sgabelli. I tre colli furono infilati nei cappi allo stesso momento. “Viva la libertà!” gridarono i due adulti. Ma il ragazzo rimase in silenzio. “Dov’è Dio? Dov’è?” chiese qualcuno dietro di me. Ad un segno del comandante del campo, i tre sgabelli rotolarono… Cominciò la marcia dinanzi alle forche. I due grandi non vivevano più. Le lingue cianotiche penzolavano gonfie. Ma la terza corda si muoveva ancora; cosi leggero, il ragazzo era ancora vivo…

Stette là per più di mezz’ora, lottando tra la vita e la morte, morendo d’una lenta agonia sotto i nostri occhi. E lo dovemmo guardare bene in faccia. Era ancora vivo quando io passai. La lingua ancora rossa, gli occhi non ancora vitrei. Dietro di me, udii lo stesso di prima domandare: “Dov’è Dio adesso?” E udii una voce dentro di me rispondergli:

“Dov’è? Eccolo li - appeso a quella forca… n Quella notte la zuppa sapeva di morto.

In occasione del Giorno della Memoria in tutta Italia (e in molti paesi europei) vengono “organizzate cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati” in modo da conservare viva la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia dell’Europa e del nostro Paese, affinché sia scongiurato per sempre il ripetersi di simili eventi.

Conoscere e ricordare la Shoah può essere di valido aiuto per meglio comprendere le ramificazioni del pregiudizio, del razzismo, della incomprensione e della intolleranza; per realizzare una pacifica convivenza tra etnie, culture, religioni differenti, tra cittadini, amici, nemici fratelli..; tutto ciò serve a creare, attraverso la valorizzazione delle diversità, una società realmente tollerante, aperta, interculturale.

IL VALORE DELLA MEMORIA

E in questa giornata, e per queste ragioni, dobbiamo dare importanza alla memoria: non come uno slogan pubblicitario, come se la memoria consistesse nell’apertura di un nostro archivio segreto (un supporto magnetico della nostra mente) a cui riportare alla luce informazioni preziose che la trascuratezza o, peggio, la volontà di dimenticare, tenta di occultare.

La memoria è un potente strumento e una funzione attiva della nostra mente, una funzione che, cercando i dati cui rivolgere la propria attenzione trova invece i cosiddetti “valori”:

 

  • civiltà quale procedere del consorzio umano dalla legge del trionfo del plù forte a quella del supporto per i più deboli; dalla soppressione del rivale o di quello che si ritiene possa soltanto chiedere alla società senza nulla dare, al principio della solidarietà.
  • valorizzare la varietà umana, la ricchezza delle “altre” culture, delle altre lingue, delle altre fedi, degli altri uomini, dei propri fratelli. Significa la libera circolazione delle idee, senza opporvi nessun ostacolo, non sociale non materiale e nemmeno personale.
  • rivalutare il dialogo, il confronto, come unici strumenti che possono risolvere contenziosi umani, proibendo, come reato, qualsiasi ricorso alla violenza, sia essa fisica che verbale.

“Memoria” significa scavare nel passato in modo selettivo e cercare non tanto le gesta degli eroi sui campi di battaglia quanto gli esempi di solidarietà, di altruismo, di comprensione, di cooperazione, di tolleranza.

Esempi che, forse, rimangono nell’ombra ma non per questo sono da considerare meno rilevanti ma anzi proprio perché nell’ombra maggiormente rispettosi dell’altrui diritto.

E’ questa la Memoria che può diventare uno strumento di fiducia, di rispetto, di tolleranza nel domani.

E’ questa la memoria che dobbiamo celebrare ogni giorno della nostra esistenza;

E’ questa la memoria che noi tutti vogliamo.

Per finire, affinché nessuno dimentichi o meglio, tutti riflettano e ricordino, voglio leggervi la poesia considerata un classico della letteratura mondiale – “Se questo è un uomo” di Primo Levi

Voi che vivete sicuri

Nelle vostre tiepide case;

Voi che trovate tornando la sera

Il cibo caldo e visi amici:

Considerate se questo è un uomo

Che lavora nel fango

Che non conosce la pace

Che lotta per mezzo pane

Che muore per un sì e per un no

Considerate se questa è una donna,

Senza capelli e senza nome

Senza più forza di ricordare

Vuoti gli occhi e freddo il grembo

Come una rana d’inverno:

Meditate che questo è stato:

Vi comando queste parole:

Scolpitele nel vostro cuore

Stando in casa, andando per via,

Coricandovi alzandovi;

Ripetetele ai vostri figli:

O vi si sfaccia la casa,

La malattia vi impedisca,

I vostri cari torcano il viso da voi.



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